I vagabondi del Dao
Due filosofi cinesi sulla vita, l'universo, e tutto quanto
Confucio
L'arte di essere umani
A partire dal VII secolo avanti Cristo, un lungo periodo di disordine regala alla Cina i suoi primi filosofi: uomini d’ingegno e di scienza, che percorrono instancabilmente le strade di un territorio vastissimo e spezzettato per cercare di riportare un po’ d’ordine in un mondo al collasso. Alcuni di loro, come Confucio, sono uomini politici, che individuano nella coltivazione delle virtù tradizionali la via più sicura per uscire dalla crisi; altri, come i cosiddetti daoisti, reagiscono in modo più radicale, predicando un ritorno alla natura e deridendo gli sforzi della ragione umana. Il ricordo di questi personaggi, nell’Occidente moderno, è spesso ormai sbiadito, o pesantemente distorto; ma ciascuno di loro, nella sua diversità, ha dato un contributo fondamentale alla storia del pensiero – un contributo che oggi, in un nuovo periodo di crisi non meno profonda, può dimostrarsi in più di un’occasione sorprendentemente attuale.
Al momento della sua morte, avvenuta intorno al 479 a.C., ben poco lasciava presagire che il vecchio e stanco Maestro Kong – meglio conosciuto in Occidente come Confucio – sarebbe un giorno diventato il simbolo stesso della cultura cinese nel mondo. Le sue idee sull’etica e sull’arte di governo, poco ascoltate quand’era in vita, dovettero aspettare ancora qualche secolo per farsi strada nella mente dell’aristocrazia cinese, e da lì passare a costituire l’ossatura stessa dell’impero fino alla sua dissoluzione, agli inizi del secolo scorso. Queste idee, oggi, ci sono note grazie a un testo straordinario: la raccolta dei detti di Confucio, messa insieme dai suoi devoti seguaci. In una lunga serie di aforismi, aneddoti, e riflessioni, essa ci permette di ascoltare a distanza di millenni la viva voce del Maestro, e di conoscere le sue opinioni – spesso rivoluzionarie, per l’epoca – sugli aspetti centrali dell’esperienza umana: l’educazione, la vita comunitaria, l’espressione delle emozioni, e tanto altro ancora.
Federico Franchin è conferenziere e articolista. Dopo una breve carriera universitaria nell’ambito della musicologia ha iniziato ad appassionarsi alla filosofia e alla letteratura cinese e giapponese, di cui frequenta da anni, in traduzione, le opere principali. Collabora regolarmente con le riviste La tigre di carta e Storie sepolte, oltre che con l’Associazione Sinergie Culturali di San Donato Milanese.